SEMINARIO DI STUDI
Archivio di Stato di Torino
15 gennaio 2018

L’accusa “You are fake news” rivolta dal neo-presidente americano ad un giornalista che gli aveva rivolto osservazioni critiche ci fa riflettere su quanto sia cruciale per una società democratica saper riconoscere la legittimità della dialettica tra opinioni diverse, ma anche saper distinguere il vero dal falso.

Gli archivisti sanno di essere custodi di un patrimonio che può essere di straordinario interesse non solo per gli storici di professione, ma anche per la generalità dei cittadini e in particolare per il pubblico scolastico. Infatti, le vicende del passato consentono di riflettere (per analogia o per
contrasto) su problemi di metodo che sono di grande attualità.

Attirare l’attenzione su questo patrimonio di memorie è un dovere civico e, al tempo stesso, un modo per tentare di convincere chi detiene i cordoni della borsa che i soldi stanziati per gli istituti culturali non sono costi ma investimenti.

Gli archivisti si occupano anche degli archivi nella loro fase di formazione e sono quindi attenti alla salvaguardia dell’autenticità e integrità dei documenti fin dalla loro nascita, durante il loro utilizzo e la loro conservazione.

Due aspetti quindi, quello dell’utilità immediata e quello della testimonianza storica, nei quali gli archivisti si preoccupano di difendere e garantire l’affidabilità delle testimonianze documentarie.

Il seminario dal titolo “Notizie false, documenti falsi. Gli archivi come palestra di spirito critico” organizzato dall’Associazione Amici dell’Archivio di Stato di Torino ha offerto ad archivisti e insegnanti alcune testimonianze di docenti universitari, ricercatori e archivisti su casi nei quali è stato possibile scoprire che certi documenti erano stati falsificati e casi nei quali sono state diffuse con esiti catastrofici notizie false.

Iniziativa di aggiornamento professionale nel quadro del progetto Manutenzione della memoria territoriale, il seminario “Notizie false, documenti falsi. Gli archivi come palestra di spirito critico” si è svolto il 15 gennaio 2018 presso la Sala conferenze dell’Archivio di Stato di Torino. Gli interventi del relatori sono stati ripresi; i video-atti del seminario sono disponibili sul canale YouTube di ASTo.

Gli interventi dei relatori

Introduzione
Marco Carassi, Associazione Amici dell’Archivio di Stato di Torino, già direttore dell’Archivio di Stato di Torino

Il potenziale pedagogico del lavoro con i documenti d’archivio è molto alto perché le domande classiche dell’investigatore “Chi? Perché? Quando? Come?” possono essere rivolte a qualsiasi testimonianza per valutarne la credibilità.

Al primo livello d’indagine (autenticità della fonte e sua attendibilità) segue il livello della interpretazione dove gioca particolarmente la soggettività dell’osservatore. Tuttavia l’interpretazione non è incompatibile con la prova scientifica. Pur nella legittima pluralità delle interpretazioni, entro certi limiti la conoscenza storica è effettivamente possibile.

Certe interpretazioni risultano ammissibili, altre sono chiaramente in mala fede o frutto di errori.

Cenni su alcuni documenti falsi medioevali
Isidoro Soffietti, Università degli Studi di Torino, già direttore dell’Archivio di Stato di Torino

La necessità di punire la falsificazione dei documenti è ben chiara ai legislatori di tutte le epoche. Spiegare come si identificano i falsi, come fa il papa Innocenzo III nel 1198 scrivendo all’arcivescovo di Milano, paradossalmente fornisce utili suggerimenti ai falsari.

La disciplina diplomatistica, mediante la critica del testo, aiuta a valutare l’autenticità del documento, che tuttavia può avere un contenuto falso, così come un documento falso può contenere informazioni vere.

Ad esempio si conservano in Archivio di Stato di Torino documenti alterati con rasure o copiati con lacune. Uno di essi pretende di fornire un contenuto di epoca longobarda pur essendo scritto in carolina: si discute se sia copia sostanzialmente attendibile di un originale perduto, oppure sia una artificiosa invenzione.

Perché consideriamo falsa la c.d. “Donazione di Costantino”?
Germana Gandino, Università del Piemonte Orientale

Numerosi argomenti di carattere cronologico, logico e lessicale fanno sì che vi sia da tempo unanimità nel riconoscere come falso il Constitutum Constantini che per secoli è stato invocato come fondamento del potere temporale dei papi.

È merito di Lorenzo Valla aver dimostrato, attraverso un nuovo approccio al Constitutum, l’impossibilità di credere all’autenticità del documento. L’identificazione del falsario non è possibile, ma è da collocare in ambiente romano e nella cerchia papale della seconda metà del secolo VIII.

È da segnalare che una minoranza di studiosi stranieri, sulla base della tradizione manoscritta, colloca invece l’elaborazione del falso nel secolo IX e presso i Franchi.

Come un prete falsario del Settecento inganna gli storici piemontesi
Silvia Giorcelli, Università degli Studi di Torino

Giuseppe Francesco Meyranesio, parroco a Sambuco in valle Stura, è un falsario straordinariamente prolifico che produce, o testimonia di aver copiato da originali non più verificabili, epigrafi romane, codici antichi, manoscritti cinquecenteschi. Gli studiosi settecenteschi che ne utilizzano i falsi oscillano tra complicità e ingenuità.

Solo nell’Ottocento la critica spietata di Theodor Mommsen, che pretende di fare l’autopsia degli originali, e di studiosi seri come Carlo Promis e Ariodante Fabretti, smantella quasi completamente il castello di invenzioni del sacerdote piemontese.

Poiché anche altri eruditi, come Pingone, Malabaila e Pirro Ligorio, indulgevano alla mescolanza di vero e di falso, si tende ora a rivedere scrupolosamente ogni fonte, per non condannare anche quei frammenti di veridicità che possono trovarsi qua e là nelle testimonianze del prete falsario.

Come si diffondono in Europa diverse versioni dell’arresto del re Vittorio Amedeo II
Dino Carpanetto, Università degli Studi di Torino

Il sovrano che aveva portato lo Stato sabaudo nel sistema europeo con alleanze e guerre, che aveva intrapreso una energica politica di riforme e fatto di Torino la capitale di un regno, Vittorio Amedeo II, abdicò nel 1730 in favore del figlio Carlo Emanuele III. Se ne pentì appena dopo e tentò di riprendere il comando, ma venne confinato nel castello di Rivoli, dove morì nel 1732.

Una vicenda dai contorni oscuri che incuriosì l’opinione pubblica di tutta Europa e sulla quale si confrontarono versioni ufficiali fatte circolare per proteggere l’onore della monarchia e un veritiero resoconto stilato da Alberto Radicati di Passerano, nobile in esilio per le sue idee.

Il re fantasma e la grande paura del 1789: due esempi francesi di diffusione di false notizie
Pierpaolo Merlin, Università degli Studi di Torino

La caccia alle menzogne è uno dei principali obiettivi dello storico onesto. Ma è importante anche indagare, ricorda Marc Bloch, il contesto sociale che favorisce la diffusione delle false notizie. Ne sono testimonianza vari casi.

Quello del re di Portogallo Sebastiano, che nel 1578 è sconfitto in battaglia in Africa senza che il suo cadavere venga ritrovato e il cui vagheggiato ritorno continua ad essere coltivato a lungo come segno della capacità di sopravvivenza della nazione portoghese di fronte alle prove più difficili, come il passaggio sotto il dominio spagnolo nel 1580.

Analogamente nella Francia di fine Cinquecento, poiché il re Enrico IV di Borbone, ex eretico, non gode della fiducia della Lega cattolica, si diffonde la notizia che il trono possa essere rivendicato da un figlio illegittimo di Carlo IX di Valois, considerato l’ultimo sovrano francese veramente cattolico. Nel luglio 1789 si diffonde nelle campagne di Francia la falsa notizia che bande di briganti stiano assalendo case isolate, bruciando villaggi e rubando raccolti. La crisi agraria che moltiplica il numero dei mendicanti e le notizie inquietanti che arrivano da Parigi, forniscono il clima favorevole alla diffusione di paure create dagli stessi abitanti che ne sono vittime. Il timore però spinge i contadini ad unirsi e ad avere consapevolezza della propria forza e ciò consentirà loro di contrastare efficacemente il fronte antirivoluzionario.

Rimozioni, manomissioni, occultamenti: gli interventi archivistici di Nicomede Bianchi e Luigi Chiala a sostegno della storiografia moderata e sabaudista
Silvia Cavicchioli, Università degli Studi di Torino

Storici come Nicomede Bianchi e Luigi Chiala sono casi esemplari dell’orientamento storiografico coerente con le esigenze governative di fornire sostegno culturale alla politica dei moderati e giustificazione ex post alla grande impresa ancora molto fragile dell’Unità d’Italia. Essi sono privilegiati nell’accesso alle fonti pubbliche e private dalle quali possono selezionare le informazioni utili ad arricchire le ricostruzioni degli avvenimenti.

Le pubblicazioni dei carteggi cavouriani operate a fine Ottocento mostrano notevoli distorsioni, soppressioni di interi brani, fusione di brandelli di lettere diverse (tra cui quelle dirette a Luigi Farini nei momenti delicati del 1860). Uno stretto collaboratore di Cavour, Costantino Nigra, impegnato a difendere la memoria del tessitore, invita Chiala ad attendere il pieno accesso alla documentazione archivistica per mostrare la storia nella sua completezza.

Falso o mito? L’immagine di Carlo Alberto nella lettura di Luigi Cibrario
Pierangelo Gentile, Università degli Studi di Torino

C’è un confine sottile tra il il falso come contrario del vero e il mito come verosimile non del tutto falso. La storiografia sabauda conosce molti casi di narrazione epurata, manipolata, nascosta.

Un caso evidente è quello del profilo di Carlo Alberto, oggetto di riscritture da parte di storici come Luigi Cibrario, che non solo si sforzano di argomentare la pretesa origine italiana della dinastia, ma anche di sfumare ogni notizia che possa indebolire l’immagine di un re sfortunato in battaglia ma fulgido interprete del riscatto nazionale, tesi funzionale alle guerre risorgimentali contro l’Austria.

Gli storici non allineati alla narrazione ufficiale sono scoraggiati e ostacolati al punto che a fine Ottocento una commissione di tre baroni di fiducia della corte provvede ad estrarre dall’Archivio di Stato di Torino i documenti che potrebbero smentire le versioni della storiografia considerata politicamente corretta.

Fenestrelle è stata davvero la Guantanamo dei Savoia dopo l’Unità d’Italia?
Juri Bossuto, ricercatore

La recente diffusione, da parte di alcuni polemisti, di ricostruzioni storiche del processo di unificazione nazionale astiose, vittimistiche e prive di seri fondamenti documentari, ha riportato d’attualità il mito della fortezza di Fenestrelle come il luogo dove sarebbero stati uccisi o lasciati morire di stenti centinaia di soldati borbonici prigionieri.

Le ricerche svolte con scrupolo imparziale da storici non sospetti di sabaudismo preconcetto (tra i quali Alessandro Barbero, Juri Bossuto e Luca Costanzo) hanno dimostrato che i soldati di origine meridionale destinati di stanza al forte nel periodo immediatamente precedente e successivo all’Unità, lo sono stati per la loro formazione militare nell’esercito italiano, o perché assegnati a reparti di disciplina. La pignoleria dell’amministrazione militare consente di verificare i numeri reali inerenti i decessi (compresi i nomi dei 5 soldati morti dopo il primo massiccio invio di 1182 unità) e i nominativi dei 14 militari che vennero curati presso gli ospedali di Fenestrelle e Pinerolo.

L’ufficiale francese Marc Bloch riflette da testimone e da storico sulla diffusione delle false notizie nella Grande Guerra
Dino Carpanetto, Università degli Studi di Torino

Marc Bloch, tra i massimi storici vissuti del Novecento, è al fronte nella prima guerra mondiale. Qui osserva e analizza con straordinaria acutezza i comportamenti e le reazioni di uomini immessi nella macchina della morte, stressati dall’incontro quotidiano con la paura. Così comincia a osservare come e perché si formano le false notizie, come crescono e si diffondono fino a diventare verità accettate.

Egli stesso confessa di aver creduto alla notizia inverosimile che i Russi stessero bombardando Berlino nel 1915. Lo si credeva perché i francesi avevano un disperato bisogno di conforto. Anche la censura, creando il sospetto che tutte le comunicazioni ufficiali siano ingannevoli, di fatto aiuta le creazione concorrenziale di notizie veramente false. Il dubbio risulta quindi segno di salute mentale.

Come ci si difende dalle false notizie nella redazione di un moderno giornale quotidiano
Alessandro Cappai, Master di giornalismo, Università degli Studi di Torino

Se gli storici si domandano quale sia il grado di affidabilità delle fonti, lo stesso fanno i giornalisti di un moderno quotidiano dove la questione è divenuta più complicata da quando la concorrenza tra le versioni on-line dei quotidiani ha ridotto a tempi strettissimi la decisione se comunicare una notizia.

Per far fronte alle difficoltà della verifica, indispensabile per riconquistare credibilità, il web mette oggi a disposizione strumenti evoluti che consentono di incrociare rapidamente diverse fonti. Un manuale (Verification handbook) suggerisce modalità logiche di controllo che includono la verifica del luogo di provenienza di una segnalazione comparsa sui social, poiché la presenza effettiva del testimone georeferenziato sul posto cui la notizia è riferita, è elemento che ne corrobora la credibilità. Poiché è opportuno non estendere lo scetticismo oltre limiti ragionevoli, si può ricorrere anche ad organizzazioni che si dedicano professionalmente alla verifica dei fatti e delle spiegazioni delle notizie.

Seminario organizzato dall’Associazione Amici dell’Archivio di Stato di Torino