MOSTRA
Archivio di Stato di Torino, Sezione Corte
27-29 settembre 2024
Aperture: venerdì 27 19-22, sabato 28 15-18, domenica 29 10-13

Il tema “Patrimonio in cammino” proposto dal Consiglio d’Europa e dalla Commissione Europea per le Giornate Europee del Patrimonio 2024 ha ispirato l’allestimento di questo percorso espositivo dedicato alle esplorazioni, che permette di valorizzare straordinarie opere a carattere storico, geografico e letterario conservate nella Biblioteca antica dei Regi Archivi e provenienti in gran parte dal patrimonio librario della Grande Galleria ducale. Questa superba collezione di libri, opere d’arte e oggetti rari, oggi smembrata, è considerata l’opera culturale più ambiziosa di Carlo Emanuele I, che in essa riunisce la volontà di celebrare la dinastia a una pretesa, tutta secentesca, di ricostruire l’universo e renderlo disponibile attraverso immagini e libri, in continuità con il Teatro universale di tutte le scienze avviato da suo padre Emanuele Filiberto.

Da questa ricchissima raccolta a partire dal 1731 arrivano alla biblioteca degli Archivi intere categorie di opere: questa dotazione si configura come un’ampia scelta di modelli per il progetto riformatore e di rinnovamento dello Stato avviato da Vittorio Amedeo II e consente ancora oggi di sfogliare, tra le altre, illustrazioni cosmografiche, atlanti, carte geografiche, portolani, resoconti di viaggio, trattati sulla navigazione.

La notte del 12 ottobre 1492, quando un marinaio della Pinta scorge per primo la costa delle Indie, segna canonicamente l’inizio di un’epoca nuova, destinata a cambiare per sempre la storia del genere umano: l’età delle esplorazioni geografiche. Sfogliando l’edizione del 1478 della Geographia di Tolomeo conservata in Archivio, scopriamo che è la fittizia isola di Thule a delimitare, poco a nord della Gran Bretagna, il confine settentrionale del mondo conosciuto (l’ecumene) mentre le isole Fortunate (le odierne Canarie) ne delimitano il confine occidentale. Se apriamo invece una qualsiasi edizione cinquecentesca della stessa opera, ci troviamo di fronte a una mappa che testimonia il vertiginoso progredire della conoscenza umana sulle terre a ovest e a nord, ma anche a sud e a est dell’Europa nel giro di pochissimi anni. L’avanzamento delle conoscenze geografiche, il progressivo affinamento delle tecniche di navigazione e il miglioramento della strumentazione e dei sistemi di orientamento determinano infatti una straordinaria circolazione delle informazioni che rende per la prima volta tutti i cinque continenti interconnessi. Numerose relazioni di viaggio raccontano il cammino compiuto dal genere umano durante questo periodo e testimoniano l’interesse e la curiosità dei lettori verso questo genere letterario: in Archivio troviamo alcuni volumi della raccolta Delle navigazioni e viaggi di Giovan Battista Ramusio, la più grande collezione rinascimentale non solo di racconti di spedizioni verso le Americhe, come quelle di Cortés, ma anche di viaggi verso Oriente (Marco Polo) e verso Nord (i fratelli Zeno). La grande stagione delle scoperte costituisce un evento di portata rivoluzionaria che permette di scoprire qualcosa di più anche sulle dinamiche che regolano l’agire del genere umano. Se ogni viaggio è prima di tutto un viaggio interiore, la storia delle esplorazioni è, in definitiva, storia del superamento di limiti esistenti, siano essi geografici, strumentali, concettuali. I testi esposti raccontano da tanti punti di vista il desiderio irrefrenabile dell’uomo di conoscere ed esplorare il mondo, oltrepassando ogni volta nuovi confini.

La mostra apre in anteprima durante la Notte europea delle ricercatrici e dei ricercatori grazie alla preziosa collaborazione dell’Archivio di Stato con il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Torino, nell’ambito del progetto di Terza missione / Public Engagement “Spagna e spagnoli a Torino”, e propone al pubblico una riflessione sul tema dell’esposizione e dell’accessibilità delle opere su carta, sviluppata insieme alla Soprintendenza archivistica e bibliografica del Piemonte e della Valle d’Aosta.

Con questa esposizione si avvia un percorso verso l’accessibilità universale. Saranno pertanto disponibili in mostra i primi supporti sperimentali per l’accessibilità dei contenuti: due video -realizzati con il contributo di CCW – Cultural Welfare Center in condivisione con UIC-Unione italiana ciechi e ipovedenti di Torino,  CPD-Consulta per le persone in difficoltà e Istituto dei sordi di Torino– dotati di immagini e testi, tradotti in LIS, audiodescritti per le persone cieche e ipovedenti, sottotitolati con font ad alta leggibilità, una scheda validata e certificata Descrivedendo -realizzata dall’Associazione Nazionale Subvedenti– che utilizza le potenzialità evocative del linguaggio per comunicare figure, forme, luci e colori con il solo uso delle parole e descrive in modo accurato il contenuto di un’immagine composita, sia essa un dipinto, uno spazio, un libro o un documento, e un testo in simboli in Comunicazione Aumentativa Alternativa, a cura della Fondazione Paideia.

Prima tappa

La memoria e l’innovazione: manuali, carte nautiche, enciclopedie

La storia delle esplorazioni è anche storia della cartografia. L’epoca delle grandi scoperte geografiche, non a caso, inizia con la riscoperta della Geographia di Tolomeo, rimasta sostanzialmente sconosciuta in Occidente fino al XV secolo, quando Jacopo d’Angelo intraprende la traduzione dal greco al latino dell’opera, rendendo il testo accessibile a un pubblico più vasto. L’opera cosmografica tolemaica sconvolge le idee geografiche dei contemporanei e diventa un bene molto popolare tra il pubblico colto. Non a caso, uno dei manoscritti più preziosi conservati della Geographia di Tolomeo è realizzato per il duca Borso d’Este. Nel corso degli anni, le mappe tolemaiche vengono aggiornate in base alle nuove scoperte geografiche, che allargano l’ecumene tolemaica in origine delimitata a ovest dalle isole Fortunate (le odierne Canarie) e a nord dall’isola di Thule. Tuttavia, l’aggiornamento delle mappe arriva molto spesso con notevole ritardo rispetto alle nuove scoperte, che frequentemente vengono secretate dai sovrani per evitare la concorrenza di altri stati. La Geographia di Tolomeo non è infatti un’opera destinata ai naviganti e non fornisce indicazioni utili a questo scopo.

Tolomeo

Nella ricerca di nuove terre da conquistare, sovrani e marinai si servono di carte nautiche la cui diffusione è di molto precedente alla riscoperta di Tolomeo: i portolani (cartas de marear in spagnolo). I primi esemplari conosciuti di queste carte, la cui paternità è contesa tra Italia e Spagna, in particolare tra Genova e Maiorca, risalgono alla fine del XIII secolo. Almeno inizialmente, i portolani si limitano a descrivere porzioni di territorio circoscritte, come il bacino del mar Mediterraneo o del mar Nero, utilizzando per la rappresentazione delle terre una proiezione ortogonale (dove meridiani e paralleli formano un’incidenza ad angolo retto), particolarmente funzionale per le carte regionali, meno per zone più vaste o lontane dall’equatore. L’interno delle terre rappresentate è abitualmente vuoto o ornato da illustrazioni: il portolano rappresenta infatti soltanto il profilo delle coste lungo il quale vengono indicati i porti e i principali accidenti geografici (capi, baie, foci, …). Mancano le coordinate geografiche: l’orientamento è garantito da un sistema di rose dei venti, prolungate da una rete di rombi.

I portolani che influenzano maggiormente la storia delle carte nautiche sono senz’altro quelli realizzati da cartografi maiorchini. Tra il XIII e il XV secolo, l’isola di Maiorca è un centro commerciale estremamente dinamico e un punto nevralgico per gli scambi nel Mediterraneo e nell’Atlantico, grazie alla presenza di mercanti musulmani, ebrei e cristiani. La ricchezza culturale, unita all’esigenza di fornire ai naviganti mappe sempre più accurate delle terre conosciute, porta alla nascita di una vera e propria scuola cartografica, il cui capolavoro creativo è indubbiamente il cosiddetto Atlante catalano (fine XIV secolo) opera cartografica nella quale, tra le altre cose, compare per la prima volta la rosa dei venti come strumento di orientamento. Anche dopo l’esaurirsi del potere commerciale catalano verso la fine del ‘400, la cartografia maiorchina continua a esercitare un’influenza notevole: nel 1500, Juan de la Cosa –marinaio della Santa Maria nella prima spedizione colombina, pilota della Santa Clara nella seconda e, poi, esploratore al seguito di Amerigo Vespucci– realizza su probabile richiesta dei Re Cattolici la prima carta nautica in cui vengono rappresentate le coste del continente americano, ispirandosi per la sua realizzazione al modello dei portolani maiorchini. Inoltre, cartografi maiorchini –o di formazione maiorchina– continuano ad operare anche nel secolo successivo: è il caso di Joan Martines, cartografo maiorchino operante in Sicilia, in particolare nella città di Messina, dal 1556 al 1587, autore delle Tavole marine e dal cui prolifico lavoro derivano più di una trentina di carte e atlanti datati tra il 1550 e il 1591.

Un altro importante polo di realizzazione di portolani è Genova, dove si sviluppa una scuola cartografica a cui si può iscrivere lo stesso Cristoforo Colombo che, insieme al fratello Bartolomeo, si interessa fin da giovanissimo alla cartografia. Nel XV secolo, la cartografia genovese è dominata da famiglie di maestri che si tramandano i segreti dell’arte; tra queste, spicca la famiglia dei Maiollo o Maggiolo di Rapallo, il cui capostipite fu Vesconte, autore di vari portolani.

Nel corso del XVI secolo, la rappresentazione cartografica dei portolani assume sempre maggiore rigore e si assiste a una progressiva fusione tra lo stile nautico e lo stile “dotto” delle carte che via via si impone nel panorama cartografico del cinquecento. Il genere del portolano si specializza pertanto in modo sempre più preponderante nella descrizione dettagliata di elementi che non possono essere riportati sulla carta, come riferimenti alla normativa locale, ai pericoli e ostacoli alla navigazione come secche o relitti, indicazioni per l’ingresso nei porti, per l’ancoraggio e ogni altra informazione ritenuta utile alla navigazione e alla sicurezza, diventando dei veri e propri manuali di navigazione come il Portolano del Mare Mediterraneo, ossia Guida dei Piloti Costieri di Enrico Michelot.

L’aumento vertiginoso di viaggi esplorativi lungo tutto il ‘500 si traduce anche in una maggiore attenzione alle tecniche e agli strumenti per la navigazione. Alla fine del secolo, Mercatore inventa la sua celebre proiezione che consiste, essenzialmente, in una versione migliorata della proiezione ortogonale dei portolani: i meridiani sono equidistanti e perpendicolari all’equatore, i paralleli sono linee rette la cui spaziatura aumenta progressivamente dall’equatore verso i poli per attenuare la deformazione delle terre situate alle alte latitudini. Si tratta quindi di una proiezione cilindrica conforme, dove vengono rispettate le forme e i contorni ma non le superfici. L’ambizione di Mercatore non è quella di dare una migliore immagine della Terra, ma di facilitare il lavoro dei piloti: con il reticolo di Mercatore, l’itinerario di una nave è sempre una linea retta. Tuttavia, l’ingegnosità della sua proposta viene compresa solo un secolo più tardi. La soluzione dei problemi tecnici della strumentazione –come correggere, ad esempio, gli effetti della declinazione magnetica, che impedisce alla bussola di segnare esattamente il nord geografico o come determinare le coordinate geografiche attraverso l’osservazione della volta celeste– non è infatti richiesta ai cartografi, ma agli astronomi e matematici, che si occupano frequentemente del tema. È il caso di testi come il Regimiento de navegación (1606) di Andrés García de Céspedes, del Globe maritime avec la cognoissance, et Pratique des Longitudes proposé en une Navigation (1621) di Benedetto Scotto o, ancora, de L’arcano del mare (1646) di Roberto Dudleo (italianizzazione di Robert Dudley). Quest’ultima opera, in particolare, si colloca vicino a portolani e carte nautiche, nel genere letterario che unisce trattati tecnici di navigazione a un ricco apparato cartografico dei profili costieri. Dudley include nella sua opera nuove tecniche di navigazione “scientifica e perfetta” e 127 carte relative a tutte le parti del mondo, nelle quali si utilizza la nuova proiezione cilindrica di Mercatore.

Seconda tappa

Racconti dal settentrione: isole immaginarie, creature esotiche, mostri marini

Nel 1539, l’umanista ed ecclesiastico svedese Olao Magno –italianizzazione di Olof Månsson– dà alle stampe a Venezia la Carta Marina et descriptio septemtrionalium terrarum ac mirabilium rerum in eis contentarum, la più importante e influente mappa del Nord Europa del Cinquecento. La mappa di Olao Magno è molto più che una semplice rappresentazione cartografica delle terre del Nord: la carta è corredata da disegni di mostri marini e animali fantastici, tornado, scene di pesca e di guerra e un’infinità di dettagli che, quasi come un gioco, possono essere trovati osservando con attenzione la mappa.

Olao Magno

L’intenzione di Olao è quella di invitare il pubblico europeo a familiarizzare con le caratteristiche e le curiosità del mondo nordico, rimuovendo quella barriera di diffidenza e sospetto nei confronti del Settentrione che ancora permea l’opinione comune.
L’opera divulgativa di Olao non si ferma alla carta marina: l’umanista svedese realizza infatti anche un’enorme opera a carattere corografico e paleo-antropologico, ricca di dati, notizie e curiosità di ogni genere intorno ai popoli del Nord: la Historia de gentibus septentrionalibus (1555). L’opera, corredata da 481 splendide xilografie, ha un enorme successo editoriale e viene rapidamente tradotta in italiano e, successivamente, in francese, inglese, tedesco e neerlandese. Insieme alla carta marina, l’opera di Olao, che descrive spesso ingenuamente elementi come maghi, streghe, luoghi straordinari, lupi mannari e, ovviamente, mostri marini, contribuisce a tracciare indelebilmente l’immaginario cinquecentesco del Settentrione.

I mostri marini sono senz’altro l’elemento più curioso e affascinante del Settentrione descritto da Olao. Non a caso, infatti, le popolari carte settentrionali di Mercatore e del Theatrum Orbis Terrarum di Abraham Ortelius –basate precisamente sulla carta marina di Olao, a cui aggiungono la isola fittizia di Frislanda–, rappresentano mostri marini che infestano il Nord Europa. Non si tratta, ovviamente, di un’invenzione dell’umanista svedese: storie di mostri marini popolano la letteratura di ogni tempo. Come dimenticare, ad esempio, l’isola all’interno del ventre della balena descritta da Luciano di Samosata nella Storia vera che ispirerà Verne e Collodi, oppure la balena-isola, sopra la quale san Brandano celebra persino una messa nella Navigatio Sancti Brendani, classico della letteratura medievale? Questa tipologia di animali fantastici è inoltre ben attestata da bestiari e trattati di storia naturale medievali e umanistici: l’anonimo Hortus Sanitatis (1491), enciclopedia di storia naturale scritta in latino e pubblicata a Magonza in Germania, presenta ad esempio un’intera sezione dedicata a pesci di ogni tipo, tra cui figurano mostri marini e persino sirene. Persino nel Nuovo Mondo vengono trovati animali mostruosi, come racconta un testo popolare come la Historia general y natural de las Indias, islas y Tierra Firme del Mar Océano (1535) di Fernández de Oviedo. Probabilmente Olao si ispira a questi due testi per la trattazione e la rappresentazione dei mostri marini.
L’interesse per i mostri marini travolge anche Sebastian Münster, autore di una enorme Cosmographia (1544) che gli vale dai contemporanei il soprannome di “Strabone di Germania”. L’opera, pubblicata in tedesco ma tradotta nel giro di pochi anni in latino, ha una diffusione enorme in tutta Europa e consiste nella prima geografia universale, contenente la descrizione di tutte le terre conosciute, realizzata grazie all’utilizzo di tutte le fonti più accreditate allora a disposizione. All’interno della trattazione delle regioni settentrionali, Münster inserisce una splendida tavola a due pagine contenente tutti i mostri marini del Settentrione tratti dalla Carta marina di Olao, identificati da una legenda.

Il fascino per il Settentrione europeo e per i mostri marini ha un effetto tangibile anche nella letteratura dell’epoca. Frutto di questo interesse per il Nord è l’ultimo romanzo di Miguel de Cervantes, il famoso autore del Don Chisciotte: Los trabajos de Persiles y Sigismunda. Historia septentrional (“Le peripezie di Persiles e Sigismunda. Storia settentrionale”, 1617). L’opera racconta la storia di due giovani innamorati che, per ritrovarsi e potersi sposare, devono superare varie traversie, prima nel Settentrione europeo, poi nell’Europa meridionale. I personaggi sono figli del mondo settentrionale così come conosciuto all’epoca: Persiles è figlio secondogenito del re di Thule e Sigismunda primogenita del re di Frislanda. I pericoli affrontati dai protagonisti nella parte dell’opera ambientata nel Settentrione sono tratti da Olao Magno: troviamo barbari, streghe, lupi mannari e, ovviamente, mostri marini. Qui di seguito l’episodio in cui la nave su cui viaggia Persiles si imbatte in un terribile mostro marino simile a un serpente che possiamo infatti trovare nell’opera di Olao Magno:

Il sonno e il silenzio cominciavano a impadronirsi dei sensi dei miei compagni, e io mi accingevo a chiedere a colui che stava con me molte cose tra quelle che sono indispensabili per saper far uso dell’arte della navigazione, quando, all’improvviso, cominciarono a piovere, non gocce, ma nubi intere d’acqua sulla nave, tanto che sembrava che tutto il mare fosse salito nella regione del vento e, di lì, si lasciasse rovesciare sull’imbarcazione. Entrammo tutti in agitazione e, balzati in piedi, guardando da tutte le parti, vedemmo il ciclo ovunque sereno, senza nessun avviso di burrasca, cosa che causò in noi paura e meraviglia. Nel frattempo, quello che stava con me disse: – Senza alcun dubbio questa pioggia deriva da quella emessa da certe finestre che hanno sotto gli occhi quei mostruosi pesci detti Naufraghi; e se è davvero così stiamo correndo un gravissimo pericolo di morte. Bisogna dar fuoco a tutte le polveri per cercare di spaventarli con il rumore. In quel momento vidi sollevarsi e abbattersi sulla nave un collo simile a quello di un terribile serpente, il quale, dopo aver ghermito un marinaio, lo ingoiò in un baleno senza neppure masticarlo (M. de Cervantes, Persiles, II, 15).

Terza tappa

Relazioni di viaggio e scoperte. Le isole immaginarie del Nord Europa

Nel corso del ‘500, le notizie degli eventi occorsi nel Nuovo Mondo e delle meraviglie trovate dai primi colonizzatori incontrano l’interesse di un pubblico sempre più vasto. Le relazioni di viaggio diventano un prodotto editoriale di grande successo, in particolare in Spagna, potenza egemone e principale attore della corsa al Nuovo Mondo.

Ramusio

Il capostipite di questa tradizione può essere considerato lo stesso Cristoforo Colombo, di cui conserviamo il resoconto delle scoperte grazie a un manoscritto conosciuto come Diario de a bordo, redatto da Bartolomé de las Casas sulla base dei diari di navigazione di Colombo. Anche Las Casas è autore di una cronaca particolarmente influente, la Historia de las Indias, circolata a lungo in forma manoscritta, su cui si baserà tra l’altro l’autore di una delle cronache più importanti dal Nuovo Mondo, Antonio de Herrera, redigendo la sua Historia general de los hechos de los castellanos en las Islas y Tierra Firme del Mar Océano.

La corsa alla scoperta di nuovi territori e l’interesse nei confronti dell’esotico e dunque dello strano non riguarda tuttavia la sola Spagna e il Nuovo Mondo: nel corso del ‘500 in tutta Europa si risveglia un interesse –per la verità mai sopito– per le relazioni di viaggi provenienti da luoghi esotici, non solamente americani. Tra il 1550 e il 1559, Giovan Battista Ramusio pubblica a Venezia un’opera mastodontica in tre volumi, Delle Navigationi et Viaggi, la più grande raccolta di relazioni di viaggio del Rinascimento, che viene rimaneggiata e ampliata con altri tre volumi nel corso degli anni successivi. Ramusio raccoglie moltissime relazioni dal Nuovo Mondo (Cortés, Las Casas, diari di anonimi viaggiatori spagnoli, portoghesi) ma non solo: sono inclusi infatti anche i racconti dei viaggi di Marco Polo e le relazioni di viaggi nel Settentrione, tra cui il viaggio di Pietro Querini. Per la sua ampiezza e varietà, l’opera di Ramusio rappresenta forse il simbolo più compiuto di questo anelito conoscitivo che caratterizza l’età moderna.
Tra le relazioni di viaggio incluse nella raccolta, a partire dall’edizione del 1574 troviamo la relazione della scoperta di alcune nuove isole nel Settentrione europeo. Il testo è tratto da un opuscolo pubblicato a Venezia nel 1558 dal giovane veneziano Nicolò Zeno, discendente di una famosa famiglia di esploratori, contenente la relazione di un viaggio nel Nord Europa compiuto da due antenati, i fratelli Zeno, nel corso del ’300 . Durante il loro viaggio, i due fratelli avrebbero scoperto alcune isole, tra le quali spicca in particolare la fittizia isola di Frislanda, sulla quale avrebbero persino vissuto alcuni anni. Sulla veridicità della narrazione, che Nicolò Zeno sostiene basarsi su alcuni diari di viaggio trovati nell’archivio di famiglia, sono stati posti molti dubbi, in particolar modo considerando che proprio in quegli anni circola manoscritta a Venezia la Historia de gentibus septentrionalibus di Olao Magno, che Zeno sembra seguire in alcuni punti.
In ogni caso, l’opuscolo di Nicolò Zeno ha una grandissima risonanza e viene addirittura tradotto in inglese. Inoltre, la cartina del Settentrione, allegata alla relazione di viaggio, viene ampiamente tenuta in considerazione: così la fittizia isola di Frislanda trova spazio nelle mappe settentrionali dell’Atlas sive cosmographiae di Mercatore, dell’atlante di Abraham Ortelius e dell’Arcano del mare di Dudleo.
Generalmente, nelle mappe, l’isola di Frislanda è collocata a fianco della più famosa isola di Thule, la capostipite delle isole leggendarie. Considerata a lungo come ultimo baluardo di terra nel Nord Europa dalla Cosmographia di Tolomeo, il mito dell’isola di Thule nasce sul finire del IV secolo a.C. quando Pitea, un astronomo e matematico della fiorente colonia greca di Massalia, l’odierna Marsiglia, intraprende un viaggio oltre le Colonne d’Ercole, verso il Nord d’Europa, mosso tanto da ragioni pratiche –la probabile ricerca di nuove vie commerciali– quanto da un indiscutibile desiderio conoscitivo. Pitea e i suoi marinai risalgono le coste delle odierne Spagna e Francia e circumnavigano la Gran Bretagna, scoprendovi a nord Thule e i ghiacci polari. La fama dell’isola di Thule è resa proverbiale da Virgilio che conia nelle Georgiche l’espressione “ultima Thule” per alludere agli estremi confini del mondo ed è definitivamente consacrata dalla popolarità dell’opera cartografica di Tolomeo, che la presenta come limite settentrionale dell’ecumene. La popolarità dell’isola è tale che –se vogliamo credere alle memorie riportate dal figlio Fernando nella sua biografia– anche un giovane Cristoforo Colombo sbarca, nei suoi primi viaggi navali nel Nord Europa, sulle coste dell’isola di Thule e, addirittura, naviga «más allá de Tile cien leguas» .
Perso il suo carattere spaziale di estremo invalicabile del Nord, nei secoli l’“ultima Thule” acquista un nuovo significato temporale: non a caso, il poeta spagnolo Vicente Gaos intitola Última Thule la sua ultima raccolta (1974) e, similmente, Francesco Guccini decide di intitolare il suo ultimo lavoro discografico L’ultima Thule (2012). C’è però un’ultima, significativa, interpretazione dell’“ultima Thule”, quella di simbolo del desiderio di sfidare e superare i limiti, connaturato agli esseri umani che da sempre si impegnano ad andare contro confini apparentemente insuperabili. È, questo, il senso che dà Seneca all’“ultima Thule” concludendo la Medea con una frase che risulta ancora oggi profetica:

Venient annis saecula seris,/ quibus Oceanus uincula rerum / laxet et ingens pateat tellus / Tethysque nouos detegat orbes/ nec sit terris ultima Thule (Giorno verrà, in secoli lontani, / che Oceano scioglierà le catene / dell’universo e smisurata / si estenderà la Terra. / Nuovi mondi Teti svelerà / e non ci sarà più sul pianeta / un’ultima Thule) (Seneca, Medea, vv. 375-379).

CREDITS

Mostra a cura dell’Archivio di Stato di Torino con la Soprintendenza archivistica e bibliografica del Piemonte e della Valle d’Aosta e il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Torino.
Video realizzati con il contributo di CCW – Cultural Welfare Center in condivisione con UIC-Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti di Torino, CPD-Consulta per le persone in difficoltà e Istituto dei sordi di Torino.
Scheda Descrivedendo realizzata dall’Associazione Nazionale Subvedenti. Si ringrazia per la collaborazione Orlando Perera.
Approfondimento in Comunicazione Aumentativa e Alternativa realizzato dalla Fondazione Paideia.
Tutti gli appuntamenti organizzati dagli Istituti culturali statali in occasione delle Giornate Europee del Patrimonio 2024 sono pubblicati sul sito del Ministero della Cultura.
Mostra virtuale realizzata dalla Soprintendenza archivistica e bibliografica del Piemonte e della Valle d’Aosta.
Si ringrazia: il personale e i collaboratori dell’Archivio di Stato di Torino, il personale della Soprintendenza archivistica e bibliografia del Piemonte e della Valle d’Aosta.