Etichetta della Biblioteca ducale

Etichetta della Biblioteca ducale

Le prime attestazioni della presenza di libri «orientali» nella raccolta libraria ducale risalgono all’inizio del XVI secolo: vi erano conservate due copie del cosiddetto Psalterium octaplum e il Psalterium hebraeum, graecum, arabicum et chaldaeum cum tribus latinis interpretationibus et glossis pubblicato nel 1516 a Genova da Pietro Paolo Porro. Pochi altri testi fecero il loro ingresso in quella che era ormai divenuta una vera e propria biblioteca (con sede a Torino) ai tempi di Emanuele Filiberto: fra essi la Grammatica chaldea, il Dictionarium syro-chaldaicum di Guy Lefèvre de la Boderie, la Grammatica linguae syriacae e il Syrorum peculium di Andreas Masius (André Maes), tutte opere pubblicate a corredo della «Bibbia Regia» donata al duca dal cognato Filippo II di Spagna.

Si devono attendere i tempi di Carlo Emanuele I (1580-1630) perché si costituisca una vera e propria raccolta di testi ebraici e orientali, collocata nella nuova Grande Galleria fatta realizzare dal duca all’inizio del XVII secolo.

La parte più preziosa della raccolta, quella manoscritta, si costituì apparentemente quasi per intero proprio fra la fine del XVI e la prima metà del XVII secolo (fatta esclusione per il lascito ottocentesco di Tommaso Valperga di Caluso). La ricca collezione di testi a stampa, sebbene in larga parte formatasi anch’essa nel Seicento, sembra sia andata ancora incrementandosi nei secoli successivi, ciò che in parte è provato dalle fonti rilevate nel progetto che qui si presenta.

Le massicce acquisizioni di testi orientali dell’inizio del Seicento sono attestate fin dalle segnalazioni che troviamo nell’inventario di Giulio Torrini (si veda oltre): benché nel catalogo i riferimenti alle opere orientali siano purtroppo molto generici, vi vengono indicati ben 380 libri ebraici, fra stampati e manoscritti. Le acquisizioni sono da collegarsi quanto meno in parte con la creazione della cattedra di Lingue Orientali.

Il formarsi di una collezione libraria si accompagna spesso all’inventariazione del nuovo patrimonio e di una prima catalogazione dei libri ebraici abbiamo notizia proprio a cavallo fra XVI e XVII secolo: l’inventario era cartaceo, scritto in ebraico e italiano ed elencava i libri ebraici, manoscritti e a stampa, ordinati per materia. L’opera, purtroppo perduta nell’incendio del 1904, era senza titolo e, sebbene descritta dal Peyron come troppo vaga e inutile (Peyron, 1880, pp. 280-281, ms. A.VII.56), avrebbe potuto costituire un ulteriore strumento per precisare o comunque confermare la consistenza dei manoscritti ebraici nella Biblioteca Ducale.

Foglio di registro contenuto in Hebr.III.24

Durante i governi di Vittorio Amedeo I, Cristina di Francia e Carlo Emanuele II le raccolte librarie furono in parte trascurate, come si evince da diverse testimonianze coeve tra cui, ad esempio, quelle di Jean Mabillon e di Bernard de Montfaucon.

Per l’epoca è tuttavia importante ricordare il già citato catalogo topografico di Giulio Torrini, compilato nel 1659, il primo pervenutoci in cui si citi la raccolta ebraica. L’inventario si apre con la descrizione degli orientali ed ebraici, che erano disposti nella seconda «guardarobba» verso levante e nella seconda «guardarobba» verso ponente, indicate con l’intitolazione Syriaci Chaldaici Hebrei. Come sottolinea Mauro Albenga, che ha curato un’utile trascrizione e un’introduzione all’inventario, «Purtroppo le due “guardarobbe” che aprono l’inventario sono quelle in cui Torrini dà le indicazioni più sommarie, limitandosi spesso a formule del tipo: “N.libri…di lingua…”» (Inventario della Biblioteca Ducale del protomedico e bibliotecario Giulio Torrini (1659), tesi di Laurea del Corso di laurea in Lettere Moderne dell’Università degli Studi di Torino, a.a. 1990/1991, p. XXVIII).

Hebr.III.44

Hebr.III.44

In effetti, il catalogo non dice molto dei codici orientali, che fra stampati e manoscritti dovevano ammontare a 700 o 800: i rarissimi titoli registrati dal Torrini attestano la presenza di opere quali un Novum testamentum arabic, un Dictionarium Caldaicum, un Alphabetum arabicum, e, per gli ebraici, una Grammatica hebrea, una Tavoletta combinatoria delle conson. et vocali hebr., o, ancora, delle Interpretationes hebraice. Nei due armadi erano raccolte inoltre alcune opere variamente attinenti ai libri orientali, come testi di storia orientale o biografie di studiosi delle lingue orientali. I libri ebraici, come detto, ammontavano a 380, compresi quelli a stampa, ma il computo include anche alcuni testi redatti parte in ebraico e parte in arabo. La superficialità del catalogo lamentata da Albenga non si limita alla scarsità di informazioni registrate, ma interessa anche la terminologia e le distinzioni fra i codici: ad esempio, nella IV scansìa della seconda «guardarobba» verso levante Torrini contò «N°. libri 17 in fol. di lingua hebrea. N°. 2 manuscritti lingua hebrea.», combinando due parametri diversi. Criteri casuali ritornano nella descrizione di altre scansìe: per la IV scansìa della seconda «guardarobba» verso ponente Torrini parlava infatti di «N°. libri 40 tra grandi, piccoli, e mss. di lingua hebrea»: di nuovo, i primi gruppi hanno in comune il formato, mentre il terzo è caratterizzato dalla natura manoscritta dei testi. Considerata la natura vaga delle indicazioni, è tutt’altro che facile identificare i codici e, fra le pochissime opere di cui Torrini registrò titolo o autore, non si riconoscono testi che siano ad oggi presenti nella collezione della Bnt, fatta eccezione per le due copie della composizione di Deodato Segre dedicata a Carlo Emanuele I, che si trovavano nella I scansìa della seconda «guardarobba» verso ponente.

Marca tipografica De Cavalli
Marca tipografica Tobia Foa
Marca tipografica Avraham Usque

Un incendio scoppiato nei locali della biblioteca del 1667, a seguito del quale non furono adottati i necessari provvedimenti di ripristino, peggiorò ulteriormente la condizione delle collezioni.

Sarà Vittorio Amedeo II a dare impulso alla risistemazione della Biblioteca Ducale, soprattutto per ispirazione di Scipione Maffei. Nel 1709 Vittorio Amedeo affidò all’abate Filiberto Maria Machet il compito di inventariare la biblioteca e nel 1713 vide la luce l’Index Alphabetique des livres qui se trouvent en la Bibliothèque Royale de Turin en cette année 1713. Per curare la sezione dedicata ai codici orientali ed ebraici dell’inventario fu chiamato il teologo tedesco Christoph Matthias Pfaff (Stoccarda 1686 – 1760). I libri ebraici sono elencati a partire dalla pagina 315 del catalogo: fino alla pagina 331 sono descritti i libri a stampa, alle pagine 333-344 quelli manoscritti. I volumi menzionati da Pfaff, tutti con titolo e autore (quando non sono anonimi), sono in gran parte di facile identificazione in un confronto con le opere ebraiche attestate più di recente. L’inventario dà conto di 342 opere, 188 a stampa e 154 manoscritte, alcune delle quali erano però divise in più volumi. Alla catalogazione corrispondeva inoltre una nuova collocazione fisica dei libri: quelli ebraici occupavano la colonna XVII e la colonna XVIII, o, meglio, i due armadi che si appoggiavano sulle rispettive colonne della Grande Galleria.