I faraoni approdano a Torino. La nascita del Museo Egizio nelle carte dell’Archivio di Stato di Torino.
Nel secolo dell’“Egittomania”nasce a Torino il primo Museo Egizio al mondo che oggi conta più di 37.000 reperti. Nell’Archivio di Stato di Torino sono contenuti molti dei documenti che ne testimoniano la nascita e la storia.
Il 24 marzo 1823, ad Alessandria d’Egitto venne firmato l’atto notarile con cui Bernardino Drovetti nominava Domenico Pedemonte suo procuratore nella trattativa per la vendita della collezione di antichità egizie al re del Regno di Sardegna Carlo Felice di Savoia.
Questo fu il primo passo verso la nascita del Museo Egizio di Torino.
Drovetti cede il suo tesoro
Bernardino Drovetti decise di vendere la sua collezione di circa 8.000 pezzi di antichità egizie per rientrare delle ingenti spese sostenute durante le sue ricerche archeologiche. Così il re di Sardegna, Carlo Felice di Savoia, acquistò la raccolta per istituire un museo a Torino, come testimoniato dall’atto notarile del 24 marzo 1823.
Già in una lettera al conte Prospero Balbo, ministro degli Interni sardo, del 19 gennaio 1820 Carlo Vidua, uno dei principali mediatori nella trattativa tra Drovetti e lo Stato sabaudo, metteva in luce i motivi per cui quest’ultimo avrebbe dovuto acquistare la collezione. Tra questi motivi il Vidua elencava: la necessità, per il Piemonte, di arricchirsi dal punto di vista culturale; la constatazione di carattere “turistico” che la collezione di Drovetti avrebbe potuto attirare a Torino molti forestieri istruiti; il rischio che la raccolta venisse venduta alla Francia; la speranza di stampo patriottico che un simile tesoro culturale raccolto da un piemontese, Drovetti era originario di Barbania vicino a Torino, trovasse la sua collocazione in Piemonte.
Il trasporto, primo passo verso la creazione del Museo
Il trasporto via terra, su carri miltari, della collezione, ebbe come tappe fondamentali le città di Genova (da cui le casse erano pervenute via mare da Livorno) e di Torino.
Un trasporto eccezionale come quello della collezione Drovetti presentò molte difficoltà organizzative, legate ai tempi di viaggio e alla condizione delle strade di comunicazione. Molte delle informazioni su questi aspetti ci sono giunte grazie alle lettere di Giulio Cordero di San Quintino, uno dei responsabili del trasferimento della collezione.
La collezione trova dimora
Parallelamente alla questione del trasporto, si cominciò a pensare all’ubicazione della collezione Drovetti una volta giunta a destinazione, e al suo allestimento.
Giulio Cordero di San Quintino, come testimoniato da una lettera del 26 agosto 1823, fece un sopralluogo all’antico Collegio dei Nobili decidendo che l’edifico sarebbe stato idoneo ad accogliere i reperti della collezione.
Secondo Cordero di San Quintino le statue più grandi potevano essere sistemate nei piani superiori poiché le volte ne avrebbero retto il peso, mentre quelle più piccole e le medaglie dovevano essere collocate lungo i corridoi come ornamento.
Champollion, dalla stele al Museo
La collezione di Drovetti suscitò subito grande interesse da parte di molti appassionati di egittologia, tra cui Jean François Champollion, egittologo e archeologo francese. Egli, grazie alle sue conoscenze del copto, nel 1822 decifrò per primo i geroglifici e tradusse la Stele di Rosetta, contribuendo così in maniera determinante alla comprensione della storia dell’antico Egitto e della sua civiltà.
Nell’Archivio di stato di Torino sono custodite due lettere di Champollion, che fu a Torino per nove mesi a partire dal giugno del 1824. In esse l’illustre egittologo francese espresse le sue idee sulla conservazione e disposizione dei manufatti e chiese di essere accolto dal nuovo Museo in veste di studioso.