Fino ad oggi – senza considerare le fonti specifiche che si pubblicano in queste pagine, quasi tutte inedite – si potevano fare le seguenti considerazioni generiche a proposito dell’ingresso dei libri ebraici in Biblioteca.

Marca tipografica Marco Antonio Giustinian II

Marca tipografica Marco Antonio Giustinian II

Parte rilevante del fondo fu ovviamente acquisita, in diversi tempi e con diverse modalità, tramite le comunità ebraiche residenti nel ducato, ciò che contribuisce a fornire tra l’altro un sicuro terminus post quem dopo la metà del Trecento. Un riferimento storico-giuridico ai libri in possesso degli ebrei piemontesi non si ebbe comunque prima della condotta del 1576, emanata da Emanuele Filiberto: la condotta, che servirà da modello per quelle successive di Carlo Emanuele I, contempla esplicitamente anche il possesso e l’uso di libri ebraici da parte degli ebrei. Pochi anni dopo, sotto Carlo Emanuele, le tensioni create da un sinodo provinciale particolarmente antisemita e dalle pressioni inquisitorie, insieme alle esigenze finanziarie dettate dalla guerra che portò all’annessione del marchesato di Saluzzo (trattato di Lione del 1601), diedero l’avvio a un periodo assai difficile per gli ebrei piemontesi; oltre alle tasse esorbitanti che dovettero versare, oltre alle persecuzioni che dovettero subire, sullo scorcio del XVI secolo furono proibiti tutti i libri in ebraico, fatta eccezione per la Bibbia (cfr. R. Segre, The Jews in Piedmont, 3 voll: I: 1297-1582 II: 1582-1723 III: 1724-1798 and Index, Jerusalem, Israel Academy of Sciences and Humanities and Tel Aviv University, 1986-1990: vol. I, p. LXVIII e vol. II, pp. 758-759, documento n. 1545). E proprio questa proibizione viene in parte a corroborare la tesi avanzata dal direttore Stelio Bassi, che datava appunto a cavallo del 1600 il passaggio di un buon numero di codici ebraici alla Biblioteca Ducale (I fondi orientali della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, premessa a S. Noja, Catalogo dei manoscritti orientali della Biblioteca Nazionale di Torino, Torino, Istituto Poligrafico dello Stato, 1974: pp. XIII-XIV; in part. p. XIV n. 3).

Quanto alle modalità di acquisizione, oltre all’alienazione coatta e alle confische della fine del XVI secolo, alcuni manoscritti potrebbero essere stati ceduti alla biblioteca per completare il pagamento delle onerose tasse che erano state via via imposte alla comunità torinese e alle altre comunità del ducato in cambio dell’esercizio di certe professioni (ad esempio, alla metà del XVI secolo, per il monopolio del prestito di denaro), per garantirsi il possesso di armi al di fuori di Torino e anche la semplice permanenza nella città, e per finanziare le guerre. Nondimeno, sappiamo anche che Carlo Emanuele I si oppose alle richieste del cardinal Borromeo di espellere gli ebrei dal ducato e, in seguito, di creare un ghetto in Torino: non è escluso quindi che comunità ebraiche o singoli individui abbiano regalato spontaneamente alcuni codici al duca, in segno di gratitudine. Del resto, stando a Salvatore Foa, il duca intratteneva anche rapporti personali e amichevoli con alcuni ebrei residenti a Torino (Banchi e banchieri ebrei nel Piemonte dei secoli scorsi, in «La rassegna mensile di Israel», XXI maggio 1955, pp. 190-201). Un’alienazione spontanea dei manoscritti si realizzò fors’anche in ragione della diffusione del ben più maneggevole, economico e moderno libro a stampa, com’è stato ipotizzato anche a proposito dell’importante fenomeno del riciclaggio delle pergamene ebraiche negli archivi italiani.

Hebr.VI.19